Passa il decreto voluto dal ministro dei Beni Culturali per spingere il cinema italiano. La speranza è che i maggiori investimenti possano portare ad un prodotto di qualità.
Aumentano anche gli investimenti che devono essere fatti dalle TV e dalle piattaforme che operano in Italia sul prodotto locale: la TV private dovranno destinare alla produzioni italiane il 4.5% che diventano per la Rai il 5%. Queste norme riguardano non solo le TV ma anche i colossi dello streaming come Amazon e Netflix: per loro non c’è ovviamente obbligo di trasmissione ma viene chiesto di avere a catalogo una percentuale di contenuti italiani e di investire pesantemente in produzioni locali. C’è da dire che Netflix lo sta già facendorecependo in anticipo una direttiva UE in fase di approvazione che prevede proprio investimenti nel paese dove il servizio è attivo e una quota minima di produzioni locali a catalogo.
Se dalla parte di Franceschini si sono schierati molti autori italiani e l’Anica, contro la proposta hanno inviato una lettera al Ministro i maggiori broadcaster che operano in Italia, Rai, Mediaset, Sky, La7, Viacom, Fox, Disney, Discovery e De Agostini. “L’impostazione anacronistica, dirigistica (quasi ad personam) e punitiva del ministro Franceschini è rimasta infatti sostanzialmente immutata nel testo condiviso dal Consiglio dei ministri. Ad essere danneggiata sarà così l’intera produzione audiovisiva italiana, con pesanti ricadute negative sull’occupazione del settore.” Da un lato gli operatori contestano le multe salate destinate a chi non rispetta il decreto, che vanno dai 100 euro al 3% del fatturato, dall’altra contestano in modello.
Il decreto voluto da Franceschini infatti viene visto come una sorta di imposizione che può avere diversi risvolti negativi. Le opere italiane infatti, se di qualità, funzionano: Gomorra è un esempio di opera apprezzata in tutto il mondo e lo stesso si può dire di Romanzo Criminale e di tutti gli altri esempi di eccellenza italiana che vengono ancora oggi trasmessi a livello mondiale. Se c’è qualità i contenuti vengono visti e apprezzati, non si può dire altrettanto quando manca la qualità. Obbligando le emittenti alla trasmissioni di contenuti che il sistema ha già rifiutato in quanto pessimi non cambierà certo le cose, anzi, c’è il rischio che vengano prodotti più film di qualità peggiore perché tanto, in un modo o nell’altro, qualcuno sarà obbligato a trasmetterli. Una cosa è certa: quella del ministro è una scommessa e si fa leva proprio sui maggiori investimenti per cercare di aumentare la qualità del prodotto rendendolo competitivo all’estero e in Italia. Basta infatti vedere come è stato accolto l’arrivo di serie TV italiane su Netflix per capire quanto il nostro prodotto, tranne rari casi, sia incapace di competere con le serie americane.
Gli operatori ne sono consapevoli, e spesso per loro è meglio spendere poche lire per mettere le mani sui diritti di una serie americana che “qualcosa porta a casa” piuttosto che scommettere su una produzione italiana più onerosa in termini di costi e dal successo incerto. Una cosa è sicura: per produrre un contenuto di qualità servono investimenti e ora il decreto sblocca questi investimenti: se saranno usati bene Franceschini avrà vinto la sua scommessa, se invece verranno usati per produrre centinaia di film e serie tv “trash” sarà stata l’ennesima occasione persa.
(Fonte: www.dday.it)